Ricostruire la Città della Scienza di Napoli

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/ #41 L'importanza di CdS: ancora un'intervista

2013-05-02 09:02

Di seguito l'intervista a Mirta Ranaldi, che ci racconta la sua esperienza lavorativa a Città della Scienza.

Mirta, ci racconti come sei arrivata a Città della Scienza?

Sono laureata in Scienze della Natura, laurea magistrale. Ai tempi dell’università ho aderito alla Cooperativa sociale “Le Nuvole”, interna a Città della Scienza, che si occupa di innumerevoli attività, dal teatro scientifico al fornire comunicatori scientifici per il museo. Io ho iniziato così: come guida nel museo, grazie a Le Nuvole. In seguito ho partecipato a un bando di concorso della Fondazione IDIS, il cui fine era la selezione di borsisti con formazione scientifica. Tra il contratto da borsista e altre tipologie contrattuali, ho lavorato in Fondazione per quasi 2 anni, occupandomi degli eventi scientifici da proporre al pubblico nei weekend e gestendo le relazioni con istituti ed enti di ricerca pubblici e privati. Infine mi sono occupata della coordinazione e organizzazione, insieme ad altri colleghi, della mostra “Il Filo della vita: 150 di genetica in Italia”, in collaborazione con l’IGB-CNR, la Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli e altri soggetti.

Che ricordo hai della tua esperienza a CdS?

Per me, fresca laureata, è stata un'esperienza assolutamente incredibile. Sono stata letteralmente, e piacevolmente, travolta da un mondo nuovo, quello lavorativo in una grande azienda che si occupa di molte attività. Mi sono sentita parte di un grande ingranaggio, e l’idea di poter dare un mio contributo a un progetto più ampio è stata gratificante e stimolante. Pur senza avere alcuna esperienza di lavoro nel settore specifico, mi sono state affidate mansioni di responsabilità, e questo mi ha aiutata a crescere e comprendermi meglio in un contesto lavorativo. Quale azienda oggi ti assumerebbe così, senza le garanzie di un forte master alle spalle?

Quindi conservo un ricordo molto positivo e sono grata alla struttura per l’occasione che ha dato a me, come a tanti altri giovani laureati nei più svariati settori.

Se ti dico "Città della Scienza", qual è la prima cosa che ti viene in mente?

Il grande ingresso interno al museo, dove era collocato l’infopoint. Pur lavorando in ufficio, spesso avevamo un contatto diretto con il pubblico, e quel punto rappresentava l’emblema dell’interfaccia utente/museo. C’era spesso un gran via vai di “Nuvole” (le guide della cooperativa), capi, utenti, bambini e tanti colleghi. Quindi l’immagine, il ricordo, che istintivamente riconduco a CdS è l’insieme di vivacità, persone indaffarate, ragazzi in scolaresca, e il sole che filtra attraverso la grande vetrata posteriore. Vetrata poi tristemente nota perché pluri-filmata nei giorni seguenti al rogo: l’unico elemento rimasto intatto è la scultura in acciaio dell’artista napoletano Luigi Tirino, che era addossata alla vetrata.

Qual era il livello dello science center nel panorama nazionale e internazionale?

Le statistiche parlano chiaro. Mi riferisco non solo alla portata stagionale di visitatori, ma anche al fatto che CdS era il secondo museo scientifico più grande e noto in Italia, dietro il Museo Leonardo da Vinci di Milano. Inoltre tutti abbiamo visto la mobilitazione a carattere nazionale ma soprattutto internazionale che c’è stata da parte degli altri istituti di divulgazione scientifica a seguito del rogo di CdS. Il manifesto di fondazione del museo partenopeo vanta firme di notevole calibro scientifico e quindi già alla sua istituzione le idee e il taglio da dare a questa avventura erano chiari ed espliciti. Inoltre, ritornando a tempi più vicini a noi, la qualità della “comunicazione” era garantita dal background e dalla qualifica delle guide Nuvole che, in fondo, sono l’elemento comunicativo che più può interessare il visitatore medio che si interfaccia ex novo con la struttura.

Come hai reagito alla notizia dell'incendio?

L’ho saputo la sera stessa di lunedì 4 marzo. Un caro amico giornalista mi telefona dicendo “Città della scienza è distrutta, hai visto?”. La brutalità della notizia e il grado di confidenza che ho con questa persona mi hanno fatto pensare a un’esagerazione. Ho cercato subito notizie online, e sul sito de Il Mattino stavano comparendo le prime fotografie. Ricordo che erano pochissime, tipo 3, ma che in brevissimo tempo hanno fatto il giro del web, come un feticcio morboso su cui attaccarsi per esorcizzare la portata dell’evento. Il mio primo pensiero, nichilista oltre ragione, è stato: “È finito tutto”. Tra le lacrime, come fosse morto un caro affetto, ho avvertito l’assoluta esigenza di confronto e sono andata su facebook, nella speranza di trovare amici ex-colleghi e Nuvole. La notizia si era diffusa in brevissimo tempo: tutti già sapevano, alcuni erano persino già sul luogo e grazie agli smartphone ci tenevano aggiornati. Il giorno seguente eravamo tutti a Via Coroglio, spontaneamente affluiti. Tra visi attoniti e qualche raro, fiducioso, sorriso, piovevano fazzolettini e domande quasi esistenziali: “E ora?”.

Cos'è bruciato nel rogo di CdS?

Oltre agli oggetti e alle tante cose di valore monetario, è bruciato un importante polo culturale napoletano. È bruciata una possibilità, un’occasione per la nostra città. Si è bruciata la possibilità per altri bambini di venire al museo, assistere a una visita guidata e pensare “Io da grande voglio studiare scienze”. E tutte le guide hanno sentito ben più di una volta il celebre e commovente “Io voglio studiare quello che hai fatto tu!”. Nel rogo è bruciata la passione di tutti quei lavoratori che ogni giorno, nonostante le varie difficoltà dettate dal territorio, dalla burocrazia, mettevano passione e serietà in quello che facevano. E, tornando agli oggetti concreti, sono bruciati alcuni reperti storici di enorme valore, che nessuna assicurazione potrà mai risarcire: la collezione storica di animali impagliati “Bologna”, i preparati di Luigi Lo Bianco della Stazione Zoologica Anton Dohrn, i reperti di Nobile e Fridtjof Nansen. Infine due nautili che amorevolmente venivano curati da un anno e che cocciutamente e inspiegabilmente continuavano a sopravvivere nell’acquario a loro destinato.

L'hai percepito come un attacco all'intera città di Napoli o piuttosto a un simbolo preciso?

Entrambi. Un attacco alla città fatto, simbolicamente, attraverso un mezzo di crescita e sviluppo della città: un polo museale scientifico.

Secondo Bruno Arpaia "Il rogo di Citta' della Scienza sta durando da troppi anni". Si parla infatti di speculazioni, scambi di favori, mancato pagamento dei dipendenti, progetti non ultimati...

Indubbiamente non è positivo né giusto il fatto che, ancora oggi, coloro che lavorano e hanno lavorato per Cds non abbiano nei tempi dovuti la soddisfazione economica del loro lavoro. Ma è anche vero che una struttura museale, con enormi spese di gestione, non può sopravvivere dei soli biglietti staccati. Sarebbe necessaria una maggiore attenzione delle istituzioni a queste realtà.

Secondo te, quanto è importante ricostruire la Città della Scienza?

Dovrebbe essere una priorità per Regione, Comune e per tutti i cittadini, in primis per dimostrare che le cose si possono piegare, ma non spezzare, e che se questa è stata la volontà di un piccolo gruppo che ha il suo interesse nel fare tabula rasa nella zona di Bagnoli, questa volontà cozzerà con l’interesse pubblico nel mantenere vivo e attivo quel polo.

In secondo luogo, Città della Scienza era un patrimonio dei cittadini napoletani, non solo in termini di fruibilità, ma anche come luogo simbolico di conoscenza e di crescita, un unicum nel sud d’Italia.

Che valore hanno le tantissime iniziative fiorite spontaneamente sulle piattaforme online per la ricostruzione e la raccolta di fondi?

Penso siano fondamentali, delle vere boccate d’aria, e non tanto per la raccolta fondi in sé, quanto per il loro attivo contributo nel mantenere alto l’interesse verso la causa, nel non far morire mediaticamente la vicenda. Inoltre reputo la cittadinanza attiva un portentoso mezzo per creare idee, proposte, per far smuovere le energie e anche per rimpadronirsi concretamente del concetto di res publica.

"Napoli non si rimetterà mai in piedi", come ha detto provocatoriamente Arpaia, o Napoli non si arrenderà?

Se questa domanda mi fosse stata posta il 5 marzo, avrei detto che sarebbe stata la “mazzata definitiva”, ma già dal giorno seguente ho visto l’animosità dei lavoratori di Cds all’opera. La nuova inaugurazione è stata fatta a un mese circa dal rogo; le manifestazioni di solidarietà e interesse da parte dei cittadini ci dicono che ci sarà una rinascita, anzi c’è già stata. Ora si è nella lenta ma inesorabile fase di crescita.

Per quanto concerne un discorso più ampio su Napoli e sul suo rimettersi in piedi, sfociamo in una questione atavica con profonde radici storiche. È ben noto l’intreccio che la criminalità organizzata ha con le problematiche che questo territorio esprime, ed è dura per i cittadini fronteggiare da soli il peso di una gigantesca eredità storica, anche se si sta espandendo la consapevolezza civica e la volontà di reagire al degrado. Ed è in tale contesto che un polo museale si colloca, anche per il suo potere educatore e per gli stimoli che può fornire alla cittadinanza.

Ce l'hai un aneddoto divertente sulla tua esperienza a CdS da condividere con noi?

Ce ne sono talmente tanti… per non imbarazzare nessuno, preferisco raccontarne uno personale. Spesso le mostre ospitate portavano oggetti esotici e curiosi, come l’aerotrim. Una volta rimasi bloccata, da sola, su questo strumento, e non riuscivo più a fermarmi! Per fortuna, dopo 10 minuti di volteggio, ce la feci a scendere!



Lucia Morganti, Master in Giornalismo e comunicazione istituzionale della scienza