Barghouti libero
BARGHOUTI LIBERO
COSTITUZIONE DEL COMITATO CHE SI BATTERA' PER LA LIBERAZIONE DEL LEADER PALESTINESE DETENUTO NELLE PRIGIONI ISRAELIANE
Documento dei Disarmisti Esigenti & partners
rif. Alfonso Navarra (cell. 340-0736871) ed Ennio Cabiddu (cell. 366-6535384) - Milano 11 novembre 2023
Primi firmatari: Maria Carla Biavati - Ginevra Bompiani - Daniele Barbi - Giovanna Cifoletti - Sandra Cangemi - Ada Donno - Alessandro Capuzzo Mario Di Padova - Cosimo Forleo -Sandro De Toni - Luigi Mosca - Roberto Morea - Roberto Musacchio - Teresa Lapis - Enrica Lomazzi - Paola Mancinelli - Antonella Nappi - Francesco Lo Cascio - Tiziano Cardosi - Angelo Cifatte - Paolo Grillo - Vittorio Pallotti - Tommaso Sodano - Elio Pagani - Olivier Turquet- Guido Viale
(Si richiedono ancora adesioni.)
Proponiamo:
1) una lettera breve indirizzata al presidente dello Stato Israele Isaac Herzog
2) una versione sintetica dell'appello
3) un documento più ampio per costituire il Comitato con l'impegno determinato degli aderenti
4) la proposta del cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme: "Mi offro come ostaggio ad Hamas in cambio dei bambini rapiti il 7 ottobre"
5) la proposta, collegata alla campagna "Object war" co-promossa da War Resisters International, di ospitare in Italia, per ottenere il loro asilo politico, obiettori ebrei russi scappati in Israele dalla guerra in Ucraina e che rischiano di essere mandati sul fronte di Gaza. In un incontro online organizzato per venerdi 17 novembre 2023 (ore 18:00-20:00) la colleghiamo a una riflessione su una questione legata all’attualità politica che riteniamo di importanza decisiva: quale deve essere la prospettiva perseguita dal movimento per la pace nel conflitto israeliani-palestinesi-arabi: ha senso abbandonare la formula ONU “due popoli, due Stati”? O ci sono altre possibili soluzioni da sperimentare?
6 - poiché l'intervento militare israeliano a Gaza, indagato dall'ONU per "tendenze genocidiarie", si sta prolungando (siamo nel settembre 2024) e poiché Israele sta preparando alla guerra in Libano contro Hezbollah, il gruppo sciita collegato all'Iran, ecco che, in un preoccupante contesto di escalation di sofferenze e di pericoli, stiamo pensando di sviluppare questa nostra iniziativa in un appello politico che proporremo alla sottoscrizione dei gruppi nonviolenti e pacifisti. Si tratta di distinguere, con una presa di posizione chiara e netta, i costruttori di pace rispetto a due versanti fintamente opposti, ma a ben vedere convergenti nel risultato: 1) i burocrati della solidarietà umanitaria, che di fatto non si oppongono alla politica di Netanyahu (sotto inchiesta ONU per "tendenze genocidiarie"); 2) gli anti-imperialisti a senso unico, che vedono nel 7 ottobre di Hamas (crimine di guerra) "un atto di resistenza partigiana"; ed addirittura "l'inizio di una rivoluzione per tutti i popoli oppressi".
La bozza dell'appello, prima di essere sottoposta alle organizzazioni, viene discussa in un incontro online tra i singoli firmatari, convocato per domenica 22 settembre 2024, dalle ore 18:00 alle ore 20:00
Link per partecipare all'incontro: COSTRUIAMO PONTI, NON MURI NE' TUNNEL:
https://us06web.zoom.us/j/87543174880?pwd=mB5h4WXwk3UiGCp2poGOZzHEwzLFaC.1
1) LETTERA BREVE
Un appello di (per il suo testo completo: )
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2) Ecco ora LA VERSIONE SINTETICA dell'appello
Marwan Barghouti, nato a Ramallah nel 1959, è chiamato il Nelson Mandela palestinese: tra i leader della Prima (1987) e della Seconda Infifada (2000) è stato varie volte nelle prigioni israeliane - la prima volta 18enne nel 1976 - ed è ormai consecutivamente detenuto da oltre 20 anni.
Così definisce sé stesso: "Sono un normale uomo della strada palestinese, che sostiene la causa che ogni oppresso difende: il diritto di difendermi in assenza di ogni altro aiuto che possa venirmi da altre parti”. Nel 2004 un tribunale israeliano, lo ha condannato a cinque ergastoli per omicidi e attentati, ma lui si è sempre dichiarato innocente dei capi d'imputazione che gli sono stati elevati contro.
Non c'è ragione per non credergli, ed Amnesty gli crede.
Dal nostro punto di vista interessato a spegnere un conflitto che può incendiare il mondo, è decisivo prendere nota che, se si candidasse alle elezioni presidenziali per la Palestina, sondaggi credibili lo danno per vincente nella stessa Striscia di Gaza, oltre che nella Cisgiordania amministrata dall'OLP.
Stiamo parlando di un leader amato e rispettato dai palestinesi, come appunto lo era Nelson Mandela dai sudafricani.
Non un pacifista identitario (neanche Mandela con l'ANC lo era) ma una persona sicuramente non fanatica, non accecata dall'odio, non votata all'occhio per occhio, che rende cieco il mondo. Insomma, non tra i fondamentalisti invasati, che dall'una e dall'altra parte del conflitto, si sia nella posizione del gruppo umano dominante o meno, sono i peggiori nemici dei popoli che pretendono di rappresentare.
Già, nel 2007, gli era stata promessa la grazia da parte di Shimon Perez, ora riteniamo che questa promessa di liberazione vada rispettata.
(Ovviamente in termini di provvedimenti giuridici efficaci ed adeguati alla realtà politico istituzionale locale, che non siamo certamente in grado di individuare nella loro forma precisa dalla nostra posizione particolare nel conflitto sul campo).
Chiediamo che Israele, con le sue istituzioni, compia un atto intelligente che contribuirà a togliere la parola alle armi e a svuotare i giacimenti di odio razzista in perenne coltivazione.
Diamo la possibilità ai palestinesi di votare, insieme ad altri, un leader che possa guidarli al dialogo e alla pace possibile.
Così, con gli abissi di orrore e di terrore cui stiamo assistendo, non si può andare avanti, è ora di una svolta concreta per fare finire le ostilità nella regione!
Le armi devono tacere e la parola deve essere riconsegnata a una politica che sappia dialogare grazie a leader ragionevoli e disponibili a mettersi a discutere intorno a un tavolo.
La guerra deve essere espulsa dalla Storia ed è sempre una sconfitta per tutti. Nel mondo diventato villaggio globale non esistono più guerre "giuste", se mai ve ne fossero state in passato.
Per questa sacrosanta causa della pace noi sottoscritte/i, da europei coinvolti, in quanto donne e uomini "pacifici", ed in facile condizione di dimostrarlo, non indifferenti e non rassegnati alla barbara spirale dell'odio, vogliamo Barghouti libero, esigiamo che Israele lo liberi, aprendo le porte ad un futuro di speranza.
E ci impegniamo, responsabilmente e guidati dall'intelligenza strategica, a costituire un comitato che persegua con determinazione lo scopo, anche collaborando con le realtà che da anni sono impegnate nella lotta nonviolenta sul terreno locale.
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3) IL DOCUMENTO dei Disarmisti Esigenti per la costituzione del Comitato "Barghouti libero"
rif. Alfonso Navarra (cell. 340-0736871) ed Ennio Cabiddu (cell. 366-6535384) - Milano 9 settembre 2023
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Appello per la liberazione di Marwan Barghouti - Costituzione di un comitato che persegua l'obiettivo
Ne discutiamo, per migliorarlo, oggi venerdi 3 novembre 2023 on line
Per il testo si vada anche su: http://www.disarmistiesigenti.org/2023/11/01/barghoutilibero/
Marwan Barghouti, nato a Ramallah nel 1959, è chiamato il Nelson Mandela palestinese: è stato varie volte nelle prigioni israeliane - la prima volta 18enne nel 1976 - e ormai consecutivamente da oltre 20 anni.
Così definisce sé stesso: "Sono un normale uomo della strada palestinese, che sostiene la causa che ogni oppresso difende: il diritto di difendermi in assenza di ogni altro aiuto che possa venirmi da altre parti”.
E' uno dei leader della prima Intifada delle pietre nel 1987, e - in West Bank - della seconda Intifada detta di Al-Aqsa del 2000; e del gruppo afferente ad al-Fatah, Tanzim.
Dopo gli accordi di Oslo del 1994 è eletto, nel 1996, nel Consiglio legislativo palestinese, in cui si è battuto per difendere il processo di pace tracciato dagli accordi citati: i "due popoli, due Stati".
Nel 2004 un tribunale israeliano lo ha condannato per cinque omicidi provocati da un gruppo armato, e di tre altri attentati.
Barghouti si è sempre dichiarato innocente dei capi d'imputazione elevati contro di lui.
Non c'è ragione per non credergli, ed Amnesty gli crede.
Dal nostro punto di vista è decisivo prendere nota che, se si candidasse alle elezioni presidenziali per la Palestina, sondaggi americani lo danno per vincente nella stessa Striscia di Gaza, oltre che nella Cisgiordania amministrata dall'OLP.
Stiamo parlando di un leader amato e rispettato dai palestinesi, come appunto lo era Nelson Mandela dai sudafricani.
Non un pacifista identitario (ma neanche Mandela con l'ANC lo era) ma una persona sicuramente non fanatica, non accecata dall'odio, non votata all'occhio per occhio, che rende cieco il mondo. Insomma, non inquadrabile nei fondamentalisti invasati, che dall'una e dall'altra parte del conflitto, si sia nella posizione del gruppo umano dominante o meno, sono i peggiori nemici dei popoli che pretendono di rappresentare.
Già, nel 2007, gli era stata promessa la grazia da parte di Shimon Perez, ora riteniamo che questa promessa di liberazione vada rispettata.
(Ovviamente in termini di provvedimenti giuridici efficaci ed adeguati alla realtà politico istituzionale locale, che non siamo certamente in grado di individuare nella loro forma precisa dalla nostra posizione particolare nel conflitto sul campo).
Chiediamo che Israele, con le sue istituzioni, compia un atto intelligente che contribuirà a togliere la parola alle armi e a svuotare i giacimenti di odio razzista in perenne coltivazione.
Diamo la possibilità ai palestinesi di votare un leader che possa guidarli al dialogo e alla pace possibile.
Così, con gli abissi di orrore e di terrore cui stiamo assistendo, non si può andare avanti, è ora di una svolta concreta per fare finire le ostilità nella regione!
Le armi devono tacere e la parola deve essere riconsegnata a una politica che sappia dialogare grazie a leader ragionevoli e disposti a sedersi a discutere intorno a un tavolo.
Sappiamo che Barghouti, in linea con la sua dirittura morale, non vuole essere liberato da solo ed oggi, rinchiusi nelle carceri israeliane, ci sarebbero migliaia di palestinesi, forse 6.000, tra i quali 550 ergastolani (circa), e oltre 1.200 sottoposti a detenzione amministrativa. Una formula di arresto che Israele adotta per segregare chiunque, senza un capo d’accusa, e trattenerlo in prigione senza un processo. Questa ha una durata di sei mesi, ma alla scadenza può essere rinnovata all’infinito. Tutto ciò è possibile grazie al pretesto che i detenuti possano pianificare un futuro reato. Il 95% dei prigionieri palestinesi sarebbe sottoposto a tortura e trattamenti disumani.
Ma noi non siamo nella posizione di Barghouti, non siamo palestinesi, e nemmeno israeliani, non viviamo sotto le bombe o i razzi, siamo nella posizione privilegiata di europei, che dobbiamo saper ben sfruttare tenendo alta la bandiera della ragionevolezza. E, nella condizione di immaginare un futuro di speranza, ci sentiamo soprattutto cittadini del mondo. Noi serviamo, dal basso, principalmente la causa della pace e solo secondariamente quella del popolo palestinese come quella di qualsiasi altro popolo che si senta oppresso.
La causa dell'Umanità è per noi più importante di ciò che oggi divide i due popoli, gli israeliani dai palestinesi, anche se tutte le ragioni fossero da una parte sola. Cosa che nei conflitti non succede mai, e questo conflitto arabo-palestinese non fa eccezione: ognuno ha le sue buone ragioni che vanno tenute in considerazione.
Dobbiamo tenere accesa la fiaccola dell'Umanità diventando un ponte per la pace e la conciliazione in un momento dove gli attori del conflitto, pur se stanchi dei massacri, per lo più non sono in grado di provare un sentimento di empatia reciproca.
Noi in questo nuovo millennio che avanza siamo per il motto: prima l'Umanità, prima le persone, prima i diritti umani, dell'Umanità e della Terra.
Oggi l'Umanità è su una sola barca in fiamme e se non la si fa approdare in un porto sicuro facendo pace con la Natura si va tutte e tutti a naufragare, Israele e Palestina inclusi. Si vuole considerare questo dato elementare, il compito prioritario e ineludibile di disinquinare e riequilibrare l'ecosistema globale, che ci propone la comunità scientifica internazionale? O, nonostante le COP sul clima, si vuole continuare a proporlo in coda a ogni ragionamento?
La guerra deve essere espulsa dalla Storia ed è sempre una sconfitta per tutti. Nel mondo diventato villaggio globale non esistono più guerre giuste, se mai ve ne fossero state in passato (forse abbiamo avuto guerre "necessarie", non "giuste": e i due concetti vanno distinti).
Per questa sacrosanta causa della pace noi sottoscritte/i, da europei coinvolti in quanto donne e uomini "pacifici" ed in facile condizione di dimostrarlo, non indifferenti e non rassegnati alla barbara spirale dell'odio, pretendiamo, ci si scusi il termine, Barghouti libero, esigiamo che Israele lo liberi, aprendo le porte a un futuro di speranza.
E ci impegniamo, responsabilmente e guidati dall'intelligenza strategica, a costituire un comitato che persegua con determinazione lo scopo, anche collaborando con le realtà che da anni sono impegnate nella lotta nonviolenta sul terreno locale.
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4) IL CARDINALE PIERBATTISTA PIZZABALLA, PATRIARCA DI GERUSALEMME, PRONTO AD OFFRIRSI COME OSTAGGIO AD HAMAS IN CAMBIO DEI BAMBINI RAPITI IL 7 OTTOBRE
(Alcuni promotori del Comitato stanno valutando se unirsi all'iniziativa)
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Il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme, si è dichiarato disponibile ad offrirsi come ostaggio al gruppo di Hamas in cambio della liberazione dei prigionieri rapiti dopo l'attacco ad Israele dello scorso 7 ottobre.
«La mia disponibilità ad offrirmi come ostaggio riguarda tutti i bambini, indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa o etnica, israeliani o palestinesi, vittime di questa insensata violenza». Il neo-cardinale fa proprie le parole del Santo Padre pronunciate all'Angelus di domenica 15 ottobre 2023: «Continuo a seguire con tanto dolore quanto accade in Israele e in Palestina. Ripenso ai tanti …, in particolare ai piccoli e agli anziani. Rinnovo l’appello per la liberazione degli ostaggi e chiedo con forza che i bambini, i malati, gli anziani, le donne e tutti i civili non siano vittime del conflitto. Si rispetti il diritto umanitario, soprattutto a Gaza, dov’è urgente e necessario garantire corridoi umanitari e soccorrere tutta la popolazione. Fratelli e sorelle, già sono morti moltissimi. Per favore, non si versi altro sangue innocente, né in Terra Santa, né in Ucraina o in qualsiasi altro luogo! Basta! Le guerre sono sempre una sconfitta!».
Pizzaballa si dice favorevole alla mediazione avviata dalla Santa Sede: «Abbiamo dato la disponibilità almeno per cercare di far ritornare gli ostaggi o almeno una parte di loro. Però la mediazione è molto difficile perché mancano gli interlocutori. In questo momento con Hamas non si riesce a parlare. La situazione è molto grave - prosegue il cardinale - Durante tutta la mia permanenza in Terra Santa ho visto tanti conflitti tra Israele e Gaza, ma questo è il più grande attacco mai registrato da anni. Israele ha risposto con spaventosi bombardamenti e i civili sono costretti a cercare rifugio dove non c’è. La situazione è instabile e in ogni momento potrebbe portare ad una spaventosa escalation».
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5) Israele e Palestina: incontro online per due Stati cooperanti (ma speriamo in una loro trasformazione ed estinzione grazie all’autogestione dialogica dal basso)
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Ne discutiamo online, anche con scopi formativi, venerdì 17 novembre dalle ore 18:00 alle ore 20:00, su un incontro zoom la cui registrazione sarà disponibile sull’archivio web di Radio Nuova Resistenza.
Questo il link per partecipare:
https://us06web.zoom.us/j/87543174880?pwd=mB5h4WXwk3UiGCp2poGOZzHEwzLFaC.1
Nel mentre ci stiamo organizzando, in quanto membri ICAN, per contribuire, dal 27 novembre al 1° dicembre, con un working paper ufficiale, alla Conferenza di New York sulla proibizione delle armi nucleari (saremo rappresentati al Palazzo di Vetro da Sandro Ciani) , abbiamo lanciato, Disarmisti esigenti & partners, la proposta di un Comitato per liberare Marwan Barghouti. Questa idea la abbiamo presentata come un contributo a fare tacere le armi nel conflitto israelo-palestinese, svuotando i giacimenti di odio razzista in perenne coltivazione. “"La parola deve essere riconsegnata a una politica che sappia dialogare grazie a leader ragionevoli (dai due lati del fronte – ndr) e disponibili a mettersi a discutere intorno a un tavolo".
(si vada su: https://www.petizioni24.com/barghouti_libero).
rif. Alfonso Navarra (cell. 340-0736871) ed Ennio Cabiddu (cell. 366-6535384) - Milano 11 novembre 2023
Primi firmatari: Maria Carla Biavati - Ginevra Bompiani - Daniele Barbi - Giovanna Cifoletti - Sandra Cangemi - Ada Donno - Alessandro Capuzzo Mario Di Padova - Cosimo Forleo -Sandro De Toni - Luigi Mosca - Roberto Morea - Roberto Musacchio - Teresa Lapis - Enrica Lomazzi - Paola Mancinelli - Antonella Nappi - Francesco Lo Cascio - Tiziano Cardosi - Angelo Cifatte - Paolo Grillo - Vittorio Pallotti - Tommaso Sodano - Elio Pagani - Olivier Turquet- Guido Viale
La nostra iniziativa di costruzione del Comitato Barghouti vorrebbe coinvolgere, in quanto membri War Resisters International (WRI), gli obiettori israeliani nella opposizione alla guerra in corso intervenendo sul caso dei giovani ebrei russi scappati dal fronte ucraino. In Israele dove si sono rifugiati ora rischiano di essere arruolati a forza e mandati a combattere a Gaza: dalla padella nella brace.
Dal 4 al 10 dicembre la campagna Object War, di cui la WRI è co-promotrice, invita all’azione per sostenere gli obiettori di coscienza e i disertori provenienti da Russia, Bielorussia e Ucraina. La nostra idea è: potremmo prendere dei giovani russi e portarli da Tel Aviv in Italia per ospitarli ed aiutarli ad ottenere l’asilo politico cui avrebbero diritto. Questo accadrebbe nel 50ennale della fondazione della Lega Obiettori di coscienza che celebreremo con un murales illustrante “Il disertore di Boris Vian” di fronte alla sede nazionale di Milano (incrocio via Pichi, via Gola).
Per acquistare profondità strategica, proviamo ora ad affrontare, prendendo come spunto due interventi, uno dello studioso di politica Franco Ferrari e l’altro del sociologo ecologista Guido Viale, una questione legata all’attualità politica che riteniamo di importanza decisiva: quale deve essere la prospettiva perseguita dal movimento per la pace nel conflitto israeliani-palestinesi-arabi: quella della formula “due popoli, due Stati” oppure lo Stato unico binazionale in Palestina? O ci sono altre possibili soluzioni da sperimentare?
Possiamo anticipare un presupposto dei ragionamenti che andremo a svolgere. Se fossero in buona parte valide ed integrabili, come a noi sembra, le considerazioni che andremo a sintetizzare, cioè, sia quelle di Ferrari che quelle di Viale, altri approcci apparirebbero colmi sì di buone intenzioni ma anche forieri di rischiose strumentalizzazioni e conseguenze politiche negative, proprio perché astratti e fuori dal contesto storico. Ci riferiamo ad altri appelli o slogan che sognano, probabilmente in modo non meditato, quale soluzione politica al conflitto in corso, “un unico Stato” nella regione geografica palestinese. Anche se invitano ad “uscire dalla gabbia attuale” e auspicano di poggiare, giustamente, “sull'uguaglianza delle persone a prescindere dalla loro appartenenza e dal loro credo religioso”, spesso vivono la contraddizione di non parlare poi in concreto di diritti umani, sociali e culturali già violati e da difendere nel presente.
Non ha senso, in questo momento storico, ed è comunque del tutto dubbio che abbia un senso pacificatore, malgrado la motivazione della tensione utopica verso la pace, mettere sostanzialmente in discussione il diritto alla esistenza separata dello Stato di Israele. Questo sottinteso va esplicitato e, con dispiacere, non avallato, a maggior ragione se si ha chiaro il concetto gandhiano della “bellezza del compromesso”: si lavora non per la pace “giusta” (ogni attore ha il suo concetto di “giustizia”, negarlo è di per sé violenza) ma per la pace possibile, in quanto, ci si perdoni il ricorso a degli slogan , “la pace è la via” e “non c’è giustizia senza pace”.
Facciamo mente locale e vediamo di cogliere quello che al buon senso dovrebbe mostrarsi come evidente: vi pare che vi siano le basi di un dialogo per la pace se A dice a B: "Tu non dovresti esistere, anzi proprio non esisti", e B si pone nei confronti di A con il medesimo disconoscimento esistenziale?
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Secondo Franco Ferrari (si vada su: https://transform-italia.it/stato-bi-nazionale-o-due-stati-per-due-popoli-quale-soluzione-per-la-palestina/ ), per rispondere all’alternativa: due o un solo Stato?, ci sono due questioni di principio da assumere in premessa.
“La prima è il rifiuto degli stati etnici, la seconda è il riconoscimento e l’applicazione del diritto all’autodeterminazione dei popoli.
Benché Israele nasca come“fatto coloniale”, non c’è dubbio che oggi gli israeliani siano un “popolo” che insiste su un territorio e come tale debba avvalersi del principio di autodeterminazione. Lo stesso evidentemente vale per i palestinesi e questo è un diritto, non una concessione subordinata al fatto che i palestinesi si “comportino bene”. Per molti israeliani, per loro natura, i palestinesi non possono “comportarsi bene” e quindi non potranno mai avere il “premio” dello Stato sovrano.
Oggi l’ipotesi dei “due popoli, due Stati” è fortemente indebolita, come dicono tutti gli osservatori onesti, dalle politiche israeliane, dalle politiche di annessione della parte araba di Gerusalemme est e dagli insediamenti di 700.000 coloni (sul numero esatto ci sono valutazioni diverse) nei territori occupati nel ’67. (…) Non si vede però come questi ostacoli svaniscano nell’ipotesi dello Stato unico.
D’altra parte, l’esistenza di due Stati non implica affatto l’esclusione di forme possibili, in un futuro che appare molto lontano, di confederazione o addirittura di unificazione in un unico Stato. Al momento però questa ipotesi appare ancora più difficile della realizzazione dei due Stati. Pensiamo alla difficoltà di coesistenza tra protestanti e cattolici nell’Irlanda del Nord e quanto lungo sia il percorso di una possibile riunificazione dell’isola in un unico Stato. Ancora oggi i protestanti celebrano la battaglia di Boyne del 1690 nella quale Guglielmo d’Orange sconfisse il cattolico Giacomo II.
I conflitti etnici, soprattutto quando sono stati caratterizzati da un elevato grado di violenza, e si mescolano ad altri elementi come quelli religiosi (chi può mettere in discussione il possesso di una terra se te l’ha promessa dio in persona?), possono richiedere tempi lunghi per essere riassorbiti e solo se cambiano gli aspetti strutturali e non solo quelli ideologici e di senso comune. La soluzione dei due Stati ha ancora alcuni vantaggi. Corrisponde alla soluzione legittimata dalle disposizioni dell’Onu. Ha il sostegno, almeno a parole, di tutte le maggiori potenze ed è quella che corrisponde al principio di autodeterminazione dei due popoli. Che poi venga utilizzata, come denunciano i comunisti israeliani, solo per coprire ipocritamente la realtà di fatto dell’occupazione israeliana è incontestabile ma non sufficiente per escluderla.
Dal punto di vista palestinese gli ostacoli principali sono rappresentati dalla debole rappresentatività e dalla mancanza di una strategia dell’ANP per uscire dallo stallo in cui si trova (e forse anche dalla volontà di farlo) e dalla divisione che si è prodotta tra Fatah e Hamas. Senza una ricomposizione unitaria su una linea chiara e realistica del movimento di liberazione nazionale palestinese, l’unico Stato realmente esistente e che tale resterà per un lungo su tutto il territorio della Palestina storica tempo, non può che essere quello israeliano che dispone della forza e della brutale determinazione necessaria ad imporra la propria soluzione”.
Guido Viale interviene nel dibattito con una proposta che può rompere molti degli schemi, diventati inamovibili per abitudine, che concepiscono la convivenza tra popoli solo in termini di rapporti di vertice definiti dalla dimensione statuale. (Si vada su: https://www.pressenza.com/it/2023/10/israele-e-palestina-due-stati-uno-o-nessuno/).
“(Si può invece immaginare il rapporto tra gruppi umani distinti nella forma di una estinzione degli apparati statali) a favore di una democrazia “dal basso” e confederale, che metta al centro i bisogni e le aspirazioni di ogni sua comunità.
“Può sembrare un’utopia, ma bisogna cominciare a parlarne e non solo a proposito di Israele e della Palestina. Il Rojava dimostra che è una strada percorribile. Certo un intervento della “comunità internazionale” (un’entità che esiste sempre meno) a tutela dei diritti e dell’incolumità di tutte le comunità sarebbe indispensabile, ma lo sarebbe anche nel caso che si optasse seriamente per le soluzioni dei due o di un solo Stato.
Si tratterebbe in ogni caso non di un’utopia, ma di un esperimento anticipatore di soluzioni da riproporre in tutte le situazioni sempre più numerose di conflitto e di crisi “interetnica”. Un “esperimento” senza il quale il mondo sembra destinato a farsi seppellire dalle guerre o ad autodistruggersi per aver trascurato la minaccia che incombe su tutti più di ogni altra: quella del collasso climatico. La globalizzazione senza Stati è già stata in gran parte realizzata dalla finanza internazionale. Adesso è ora che a perseguirla siano invece i popoli.
Senza pretendere di essere esaustivi, i passi che nella situazione concreta sono ineludibili mi sembrano essere:
- L’abbattimento delle barriere fisiche e di controllo su tutti i territori;
- L’istituzione di una Commissione mista per la Verità e la Riconciliazione sull’esempio di quella messa in atto in Sudafrica;
- La presa in consegna da parte di una commissione internazionale di tutti gli armamenti noti di entrambe le parti: dai kalashnikov all’atomica (molti sfuggiranno al controllo, ma si tratta di un work in progress);
- La promozione di milizie miste per mantenere l’ordine pubblico composta di individui disposti a farne parte e a rispettarne le finalità;
- La promozione di comunità miste tra tutte quelle reti che già ora ritengono di poter svolgere un lavoro comune (e tra queste un ruolo di primo piano spetta fin da subito alle donne);
- La consegna a ogni comunità di territori sufficienti a garantirne la sopravvivenza;
- Lo stanziamento di ingenti finanziamenti internazionali sotto un controllo congiunto degli enti donatori e dei rappresentanti delle due comunità.
Alfonso Navarra Contatta l'autore della petizione